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Scegliete i vostri obiettivi in base alla vostra “sensibilità”

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Sono appena tornato da un photo tour, durante il quale abbiamo attraversato parte del Rajastan per poi tornare verso Delhie e Varanasi.
MI sono reso conto quanto la fotografia, soprattutto in viaggio, sia una questione personale.
Lo è per i motivi che ci spinge a scattare e lo è per le abitudini che acquisiamo, ma lo è, soprattutto, per l’attrezzatura che scegliamo di portarci in viaggio.
Io personalmente NON viaggio leggero – mi porto tutto quello che penso potrebbe venirmi utilie (almeno una volta) e  spesso mi accorgo di andarmi a cercare situazioni anche un po’ per giustificare quello che mi sono portato dietro.
Altri non la pensano come me e prediligono uno stile di viaggio molto light.
Due approcci agli antipodi, ma non per questo uno migliore dell’altro.

Quando si deve scegliere quali obiettivi mettere nello zaino, vale la pena fare mente locale e scegliere secondo la propria sensibilità e non secondo i diktat di questo o quel blog, di questo o quel fotografo.

Un consiglio che mi sento di dare è quello, nel caso decidiate di portarvi più obiettivi, di sperimentare lo stesso scatto attraverso focali diverse.
Provate a guardare attraverso i vostri obiettivi come se fosse la prima volta.
Montate un 24mm, scattate un ritratto ambientato e poi, se il soggetto ve lo consente, provate a scattare un secondo ritratto montando un 85mm o un 200mm.Lasciate che sia la vostra sensibilità a scegliere, ma fate che questo accada solanto a viaggio terminato, una volta a casa.
Non state perdendo tempo! Non state scattando doppioni, state affinando la vostra sensibilità fotografica, state allargando gli orizzonti e confrontandovi con situazioni simili, ma di molto diverse.

Un secondo consiglio che mi sento di dare è  questo: sedetevi prima di partire e, con il materiale che avete messo assieme durante le ore passate a fare ricerca (perché l’avete fatta, non è vero!?), buttate giù una lista di possibili situazioni che vi piacerebbe immortalare o che pensate vi troverete di fronte – ad es. ritratti, scene di mercato, panorami, monumenti, ecc…), per ognuna delle scene riportate quale obiettivo meglio si adatta, secondo il vostro modo di scattare.

Personalmente odio dover rinunciare ad uno scatto solo perché non ho l’attrezzatura con me, ed è per questo motivo che il mio zaino pesa oltre 10 chili – ho dentro un 14-24mm, un 24-70mm, un 70-300 e un 85mm fisso, oltre ad un flash, qualche radiocamento e un piccolo bank.
So che molti di voi diranno che sono malato, ma questa è l’attrezzatura che mi fa sentire tranquillo in qualsiasi situazione e mi lascia la possiblità di scegliere.
Di solito monto il 24-70, ma cerco di non impigrirmi e non ci penso due volte a passare al grandangolo o al tele.
Quando la situazione è giusta, ecco che spunta l’85mm (a mio avviso il principe degli obiettivi fissi).

Questo per dirvi cosa?
Soprattutto che la fotografia è un affare MOLTO personale e come tale va trattato. Ascoltate i consigli di chi considerate meritevole, ma poi decidete secondo la vostra sensibilità.

Emergenze Ritratte: il nuovo volto di Perugia

Emergenze Ritratte è un progetto fotografico che vive all’interno dell’ambizioso contenitore artistico Emergenze e si ricollega all’istallazione artistica di Kristina Borg,  il filo rosso.
Dal progetto principale Emergenze e dall’istallazione del filo di Cristina Borg, Emergenze Ritratte mutua due caratteristiche fondamentali: fare emergere i volti delle persone che abitano i luoghi in cui si svolge il progetto e ricucire il tessuto sociale in un modo diverso, attraverso le espressioni e i volti della gente che vive la città.
Il linguaggio  fotografico scelto – ritratti a mezzo busto, davanti ad un sfondo bianco –  permette di decontestualizzare il soggetto dal suo ambiente, facendo  appunto emergere i tratti somatici, come prima espressione dell’esistenza e facendo risaltare in maniera univoca ed inequivocabile il volto.
I volti di una città, con le loro differenze, emergono e danno forma al nuovo volto della città, il vero volto.
Scegliere di eseguire ritratti su fondo bianco significa  fermare in maniera perentoria l’attimo di vita del soggetto ritratto, che in quel momento, praticamente, fluttua davanti al  bianco dello sfondo e davanti all’obiettivo della macchina fotografica, sganciato da qualsiasi dettaglio esterno che possa in qualche modo ricondurlo al suo stato sociale, alla sua educazione, al suo grado di istruzione e cultura, presentandolo, in qualche misura, puro,  “emerso”.
Emergenze Ritratte e dunque un progetto fotografico a metà tra la ritrattistica, il site specific, l’istallazione, lo studio socio-demografico, il work-in-progress e il divertimento.

Il social marketing e le sue regole del “cazzo”

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Scusate la volgarità del titolo, ma volevo davvero sottolineare stupore e frustrazione sin dal titolo di questo post.

Il social marketing – da non confondere con il marketing sociale, ben altra cosa – è un’attività piuttosto recente e nonostante qualche nostro collega si professi guru, tale specialità ha regole piuttosto labili e, lasciatemi dire, campate per aria.

Innegabile, il social marketing è il diktat del momento. Non incontro prospect che non mi chieda di includerlo in un’offerta e non parlo con cliente che si dica votato alla nuova frontiera del marketing – anche se spesso non sanno neppure bene di cosa si tratti e di che competenze richieda per ottenere un certo successo.

Il proliferare dei social network, la chimera che il cliente pensi che il marketing e la comunicazione sui social network non costino un soldo e la mannaia della crisi hanno fatto sì che molti di noi abbiano annoverato tra i servizi offerti anche web pr, social marketing e angherie dell’ultima ora.

Già marketing e pubblicità tradizionali, nonostante decenni di pubblicazioni, studi e scritti vari, sfuggivano in qualche modo ad una regolamentazione rigida e, a volte, risultavano più simili alla magia nera che non ad una disciplina pragmatica.
Parliamoci chiaro, nonostante la vastissima bibliografia e la variegata fenomenologia, mettere in piedi una campagna di marketing di successo non è un’attività che si può avvalere di calcoli strutturali, come ad esempio costruire un ponte.
La l versione 2.0 è addirittura qualcosa di ancora più impalpabile, che che ne dicano le varie web agency che sono sono spuntate come funghi dopo una notte di temporale, soprattutto perché molto è lasciato nelle mani dell’utente e nelle sue azioni.

Non mi voglio occupare dei cialtroni che popolano il mercato, spacciandosi per i guru del nuovo marketing, ma anche chi, in questi pochi anni, si è applicato con serietà e ha provato a stilare qualche buona regola per pianificare un’efficace campagna di social marketing, non ha vita facile, tutt’altro.
Il marketing 2.0 basa molto, moltissimo sulla viralità e sulla azione/reazione degli utenti – fattori che possiamo simulare, anticipare, sollecitare e sperare, ma che difficilmente riusciamo a controllare come vorremmo (far credere, spesso).

Diciamolo, spesso siamo alla guida di una fuoriserie che non riusciamo a far correre più di una carriola e altre volte abbiamo a che fare con tricicli che prendono a sfrecciare come Maserati – per non parlare di quando guidiamo a occhi bendati, incrociando le dita…

Il mondo del web è un mondo bizzarro e le regole all’interno di questo mondo sono volatili, quasi imperscrutabili.
Non voglio dire casuali, ma molto, spesso troppo, davvero troppo è dettato dalla casualità.

Questo ho potuto verificarlo personalmente con due episodi che mi sono capitati: un post impazzito e un album a scoppio ritardato.

La lunga onda del post impazzito
Un post che ho pubblicato in questo blog, tra l’altro preso e adattato da materiale già esistente, grazie ad un commento che voleva essere un insulto e una stroncatura è invece entrato all’interno di un volano promozionale che ha molto più del virtuoso, che ha del miracoloso.
Il post, di suo, era ironico, attuale e piuttosto ben scritto – qualche piccolo merito me lo prendo, di mio posso dire di essere stato pronto e capace nel rispondere alla provocazione di un lettore che non cercava altro che lo scontro verbale – e non so nemmeno bene per quale motivo.
Senza una ragione che io riesca a spiegarmi razionalmente, la mia risposta è stata raccolta da molti altri e il poster ha cominciato a volare in rete, totalizzando quasi 100 mila visualizzazioni in meno di due giorni e centinaia di commenti.
Io ho provato ad applicare una delle poche regole 2.0 che ho imparato: quando apri un blog, hai il dovere di accettare qualsiasi critica e di rispondere, possibilmente a tutti coloro che commentano e scrivono. Così ho fatto per giorni, per settimane.
E, ad oggi, senza nessun investimento pubblicitario pagato e senza aver più aggiornato il blog – questo, che contavo già di chiudere, le visite sono molto, molto, davvero molto più alte della somma dei primi due anni di fervente attività autorale – con mia immensa frustrazione.

Come si spiega? Come si spiega l’onda lunga del post impazzito?
Semplicemente. Non si spiega. È del tutto casuale. Il post è probabilmente entrato in un circuito che lo continua a far galleggiare, come si dice nel neonato jargon dell’altrettanto neonato marketing 2.0.
Aspetto butto è che tutto ciò non è accaduto il giorno stesso che il post è apparso il mio blog, ma due mesi più tardi.
Ho provato a spiegarmi la dinamica e ho anche capito che cosa possa essere successo, ma non sono riuscito a giustificare i numeri, che poi sono quello che, mediamente, i clienti ci chiedono di fare nel social marketing, che sì è una giungla, ma che quanto meno è riconducibile ad una serie molto esplicita e tranchant di cifre.

A distanza di sei mesi, il post è regolarmente commentato e il blog registra più accesso ora di quando era attivo – e chi cura un blog sa della fatica che si paga per pubblicare con regolarità, soprattutto se si tratta di uno spin off della propria attività principale.

Botta di culo!? Casualità!? Concatenazione di coincidenze!?
Boh, sta di fatto che da quel 28 agosto 2013 (circa 80 mila visualizzazioni e 600 commenti al post impazzito) le mie convinzioni sulla strategia del marketing 2.0 e sulla sua ripetibilità si sono, per così dire incrinate, e si sono piegate un po’ di più a quello che chiamo fattore culo.

E il fattore culo non è pianificabile e non risponde a nessun paradigma, né di marketing tradizionale, né di marketing 2.0. È culo… e stop!

Meglio tardi che mai.
Altro casus belli è accaduto due sere fa, questa volta su Facebook, nuova frontiera della comunicazione per molto nostri clienti.
Ho una pagina professionale che si occupa di fotografia – Fotografia in Viaggio – e in questa pagina ospito alcuni album fotografici che mostrano le mie foto di viaggio e che hanno lo scopo di testimoniare, in qualche modo, la mia piccola autorevolezza nel campo.
La creazione della maggior parte di questi album risale alla creazione della pagina e ricevono un numero di visite piuttosto costanti.
L’altra sera un’amica, per un motivo del tutto suo e a me sconosciuto, ha messo un semplicissimo mi piace ad una delle foto contenute nell’album.
Ho ringraziato, ho aggiunto un commento in risposta e… ho assistito allo scatenarsi di un fenomeno virale apparentemente privo di qualsiasi spiegazione sensata.
La foto ha cominciato a collezionare mi piace a cascata, l’album che contiene la foto è stato letteralmente preso d’assalto – cosa che era successa solamente in parte al momento della sua pubblicazione – e, mentre scrivo, il fenomeno continua ad avere una coda importante.

Quale paradigma regola questa viralità?
Boh.
La mia amica non è un influencer, non è una trend setter, non ha un blog, non è una critica, non è una vip e non ha molti amici comuni alla mia base di amici. Insomma non ha nessuna delle caratteristiche tipiche di persona in grado di far impennare il marketing su Facebook.
Come si spiega?
Io non lo so. Sono onesto, se lo sapessi, probabilmente avrei le chiavi del social marketing.
Osservo, gongolo e mi interrogo. Cerco di fare tesoro degli episodi, positivi e negativi e mi creo un piccolo parco di regole, dettate sopratutto dal buon senso e dallo sperimentare sempre prima le cose direttamente, ma lascio aperta la porta al fattore culo.

Che regole del cazzo ha questo marketing 2.0

Pianifica e scatta

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La prima cosa a cui ho pensato, quando ho visto la special Tom è stata, la voglio fotografare, prima ancora di pensare la voglio guidare.

Confesso da motociclista e appassionato Triumph la cosa non mi fa onore, ma quando ho visto la Bonneville realizzata dall’officina Triumph di Milano ho cominciato ad immaginare a come mi sarebbe piaciuto ritrarla, in quale contesto, con quale mood.
Un puro esercizio di stile, fino a quando il cliente non mi ha commissionato di fotografare la moto, a quel punto dovevo mettere in pratica le mie aspirazioni creative.

Il bello di questo cliente e di questo particolare assignement era che mi lasciava carta bianca.
Il brutto di questo cliente e di questo particolare assignement era… che mi lasciava carta bianca.

La personalizzazione decisa della moto, che riprende sul serbatoio il disegno della bocca dello squalo, fregio dei caccia Tomhawk della marina militare degli Stati Uniti impiegati nella guerra del Pacifico durante l’ultimo conflitto mondiale, mi ha spinto ad ambientare la special in un campo volo.
Spiegato il concetto al cliente, che inizialmente proponeva uno scatto più semplice e più veloce da realizzare, ho cominciato a pianificare la sessione fotografica.

La chiave è proprio qui: pianificare, prendendosi cura dei minimi dettagli.

Più lo shooting viene caricato di aspettative e più le responsabilità di fotografo e art director crescono – e più è necessario dedicare tempo alla pianificazione.

Non avevo dubbi, volevo enfatizzare il carattere della Tom fotografandola in un hangar, come se fosse un aereo pronto ad uscire e a prendere il volo, volevo però che il mood non fosse spudoratamente tecnologico, volevo che evocasse un’emozione vintage, un po’ sporca, ruvida.

Trovato il campo volo – che doveva essere sufficientemente piccolo e a portata di furgone – ho pianificato lo scatto. Nella mia testa immaginavo la moto fotografata al crepuscolo sulla porta di un hangar, con sullo sfondo una piccola flotta di biposto ad elica – non disponendo di agganci per fotografare all’interno di un aeroporto militare, mi dovevo accontentare, ma volevo mantenere il setting a portata di uomo. Purtroppo il meteo non ci ha assistito e ho sono stato costretto a modificare qualche dettaglio rispetto al piano originale.

Il cliente nel frattempo mi ha informato che la moto era stata venduta, per cui la finestra di tempo a disposizione per realizzare gli scatti si riduceva drasticamente e così anche il margine di errore con il quale fare i conti.

Avevo poco tempo e dovevo fare bene, senza possibilità d’appello. In questi casi il professionista sa che deve, prima ancora di affrontare la sessione fotografica, procurarsi un Piano B – scattare in location nasconde sempre qualche imprevisto, per cui un solido Piano B non è un’opzione, è imperativo.

Mentre organizzavo lo shooting al campo volo, ho approfittato per scattare qualche foto della moto nella tranquillità della concessionaria – con un investimento di tempo di poco più di un’ora, mi sono assicurato un piccolo servizio di ripiego, fondamentale nel caso il Piano A non avesse prodotto gli scatti sperati.

Forte della mia decorosa alternativa, ho affrontato lo shooting al campo volo.

Ho cercato di pianificare ogni minimo dettaglio, dalla logistica del trasporto, all’assicurazione che, una volta giunti sul posto, avremmo goduto della massima libertà, ho portato con me quanta più attrezzatura potevo – mantenendomi nel campo del rapido e leggero.
Il meteo prometteva cielo grigio e pioggia e non sapendo esattamente cosa aspettarmi sul posto ho portato:

  • 3 flash speedilght 900
  • 2 flash speedilght 800
  • 3 controlli remoti TT5
  • 1 controllo Mini1 con controllo AC3
  • 3 Ezibox Lasolite 60×60
  • 1 griglia honeycomb
  • set di gelatine colorate
  • 1 kit Triflip
  • 3 statitivi

… un sacco di roba che ho imparato a fare stare in uno di quei comodi tubi rigidi con le rotelle.

Mentre caricavo mi ripetevo, ti stai portando un sacco di roba che non userai.
Una volta arrivati ho glorificato il momento che ho scelto di portarmi tutto!

Una giornata plumbea, con contrasti tra dentro e fuori che si misuravano in differenze di 5 o 6 stop e un set decisamente vasto per i mie piccoli speedilght.

Per tutto il giorno ho scattato sapendo che in realtà stavo aspettando il crepuscolo, nonostante la giornata grigia e piovosa.
Durante tutta la mattina e parte del pomeriggio, il mio vero problema era bilanciare efficacemente la luce ambiente con quella dei flash.
Il nodo inestricabile era trovare l’esposizione corretta che non bruciasse l’esterno dell’hangar, ma che non sottoesponesse la moto.
Inoltre volevo che gli aerei e le varie attrezzature all’interno dell’hangar risultassero leggibili.

Ho aspettato la sera, in modo che il cielo e i campi all’esterno fossero più bui dell’hangar.
Sapevo di non aver più di un quarto d’ora – la luce cambia in fretta.
Ho sistemato il set, illuminato il soffitto dell’hangar con due fari industriali, in modo che la luce cadesse dall’alto sull’aereo che avevo scelto come partner della Tom. Sulla Tom ho puntato tre flash, la mia key light era un SB900 con un bank a 30°/0º, un secondo SB900, nudo, puntato sul motore a -45°/45° e un terzo, come rim light a -90°/0º, che mi staccava la ruota anteriore dal fondo.

Volevo che la Tom uscisse in modo potente, ma che i flash non si mangiassero l’ambiente, per cui ho fatto qualche prova con tempi relativamente lunghi e diaframmi piuttosto aperti.

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Questo è il risultato, che e stato possibile ottenere solo grazie al fatto di avere avuto sin dal principio un piano chiaro in mente e di essersi portato tutta l’attrezzatura da location di cui dispongo, altrimenti mi sarei dovuto accontentare di qualche seconda scelta o degli scatti del piano B.
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Ritratti: manteniamo le cose semplici.

volti sforzesca

Volti della Sforzesca

Sempilce è sinonimo di controllo. Semplice è sinomimo di facile. Semplice è sinonimo di veloce, soprattutto in fotografia.

Ecco come ho risolto un problema di ritrattistica all’aperto (o quasi), nel mezzo di un festival, nel mezzo del passaggio principale…

MANTENENDO LE COSE SEMPLICI! Semplice però non deve significare frettoloso.

Il progetto era ritrarre molte delle persone che partecipavano ad un festival di due giorni in una posto bellissimo dell’alta Tuscia – la Villa Sforzesca di Castell’Azzara.
Intendevo ritrarli tutti nelle stesse condizioni di luce e fondo, in modo da mettere meglio in evidenza le differenze somatiche di ognuno e in qualche modo – nel caso fossi stato bravo – la personalità.

Primo – procurarsi un fondale
Secondo – procurarsi almeno un flash (da usare disassato rispetto alla macchina).
Terzo – vincere la titubanza e trascinare quante più persone davanti all’obiettivo.

Fatto!

Ho deciso di usare una sola luce, appunto per mantenere le cose semplici.
Ho montato uno Speedlight SB900 su un trepiedi, l’ho collegato in radiofrequenza attraverso un Pocketwizard Flex TT5 e ho modificato il fascio di luce con un bank portatile.
Sulla macchina, una D800, ho montato un radiocomando Mini TT1 Flex con controllore di zone AC3.
Ho volutamente escluso il controllo TTL del radiocomando, affidandomi al manuale: in questo modo, una volta decisa la potenza, le cose sarebbero (più o meno rimaste uguali per tutto il tempo).
Ho posizionato il flash sulla mia sinistra, a 45° rispetto al soggetto e inclinato di circa 30° dall’alto verso il basso – 45°, 30°.
L’esposizione corretta era f7 @ 1/125. Ho giocato un po’ con il tempo di posa per raccogliere maggiore luce ambiente – mi avevano sistemato in un ingresso coperto dal bellissimo stucco color ocra e scendendo un po’ con il tempo riuscivo a cogliere un po’ di riflesso. E man mano che la luce ambiente si affievoliva, aprivo il diaframma.

Siccome il diaframma controlla la quantità di flash che colpisce il soggetto e il tempo lil rapporto luce flsh/luce ambiente, nel corso della giornata ho aggiustato un po’ i valori seguendo l’andamento della luce, ma anche badando ai soggetti (abiti, carnagione, ecc.).

Ho optato per una luce un po’ più drammatica – quasi di sapore caravveggesco, sottoespoendo di 1/2 stop.
Il bank, con telo bianco sul fronte, ammorbidiva le ombre  sui visi e sul fondale di carta nero.

TUTTO MOLTO SEMPLICE dal punto di vista tecnico. Molto divertente dal punto di vista umano.

Per i patiti del dettaglio tecnico:

Nikon D800 con obiettivo Nikkor 24/70 f2.8
Flash SB 900
Pocketwizard  Flex TT5 e Mini TT1 con AC3
Bank pieghevole portatile
Trepiedi e stativi per fondo, fondo in carta nero.

ISO 320 – esposizione media f7.1 @1/100

Questo lo schema:

Schema Sforzesca

… e questi alcuni dei ritratti – se foste interessati a vedere gli altri, li trovate qui

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Il mistero del post impazzito

È successo una cosa che ha dell’incredibile, che va al di là di qualsiasi spiegazione da manuale ed invito la pletora tracotante dei guru del social media marketing (agh!) provare a spiegare la causa del fenomeno che vado a descrivervi.

Mi tocca fare una premessa: ho dato vita qualche anno fa a questo blog senza nessuna velleità commerciale o aurorale, ma semplicemente per mettere a disposizione di una eventuale comunità digitale la mia (piccola) esperienza nel mondo della grafica e della comunicazione, maturata in questi vent’anni di onorata attività .
Il successo del blog è cresciuto nel tempo seguendo un normalissimo andamento tipico di questa particolare area digitale, qualche moderata impennata, qualche caduta, ma tutto sommato, un onorevole cammino.

Ieri l’inspiegabile!
Tutto o quasi nasce da un efferato e quanto meno gratuito commento di tal Andrea – così si firma- che mi invita ad andare a lavorare anziché perdere tempo con i blog e che mi indica quale ragione dello sfascio di questi giorni.
Il commento era in calce ad un post che ho pubblicato qualche mese fa – post per altro già esistente sul web (un’amica mi aveva segnalato questo esilarante decalogo e io l’ho un po’ infiorato e ripubblicato).
Quando pubblicai il post su questo blog, ricordo che il decalogo ottenne una buona visibilità – circa un’ottantina di visualizzazioni, ma niente di stupefacente.

Dal commento del sedicente Andrea, il post ha ottenuto in tre giorni 54 mila visualizzano e qualcosa come 800 commenti spontanei.

La mia domanda ora è: come è possibile?
Capisco entrare in un aggregatore e capisco ritrovarsi qualche centinaia di visualizzazioni, avrei capito anche mille! Ma non capisco 27 mila il primo giorno e circa 22 mila il secondo – e svariate migliaia anche il terzo, cioè oggi!?

Ho studiato che i post hanno vita breve e che, al di là del valore effettivo del loro contenuto, molto è legato all’onda di interesse del momento, ho studiato gli andamenti dei canali social come possibili strumenti di comunicazione b2b b2c, ho provato a capire e ad anticipare gli interessi e le desiderata

    del mercato, la comunicazione, nel quale mi muovo e lavoro da 20 anni circa… ma quello che è successo con post “Come uccidere un grafico in 10 mosse va oltre ogni mia possibile spiegazione e ragionevole logica di interesse specifico.
    Comunque grazie a tutti coloro che hanno letto il post, commentato e spesso preso le mie parto nei confronti del malcapitato Andrea… che comunque ringrazio, sarcasticamente, per aver in qualche modo innescato questo fenomeno (inebriante).

    Cercherò di tornare a postare con la frequenza dei primi giorni e a parlare di grafica, pubblicità, packaging e comunicazione in generale, fa bene sapere di essere letti!

Come uccidere un grafico in 10 mosse 10

Un’amica mi ha appena girato questo pezzo di rara ilarità, ma di tristissima realtà!

Leggete con calma e meditate, sia che siate grafici, sia che siate clienti di uno studio grafico.

VOLETE FARE IMPAZZIRE I GRAFICI?

1 – Microsoft Office

Quando dovete inviare al vostro grafico un documento, assicuratevi che sia fatto con una qualsiasi delle applicazioni di Microsoft Office. Versione Windows, se possibile.
Se dovete consegnare immagini, avrete più successo nel farli impazzire se, invece di semplicemente inviare un file JPG, incorporate l’immagine dentro ad un documento Microsoft Office, tipo Word o Powerpoint. Meglio ancora se dopo una serie di Copia e Incolla tra diversi documenti Office.
Non dimenticate di abbassare la risoluzione delle vostre immagini a 72 dpi, di modo che vi debbano ricontattare per chiederne una versione in alta risoluzione. Non mancate di obiettare alla loro richiesta di un file più grande, con la frase “Ma a video lo vedo benissimo“.Quando gli manderete la versione “a più alta risoluzione”, assicuratevi che le dimensioni siano almeno al 50% di quelle effettivamente necessarie.

2 – E-mail

Se state usando l’e-mail, per inviare le immagini, scordate di allegarle almeno una volta ogni tanto, attendendo la risposta del grafico, prima di reinviarle.
E se il grafico insiste perchè gli mandiate l’immagine allamassima risoluzione che avete, abbiate cura di prendere l’intera cartella di immagini RAW e, senza comprimerle con programmi perditempo tipo WinZIP o WinRAR, allegatele ad una mail. Al massimo su due, ma allegando sempre la stessa serie di immagini della prima e-mail.

3 – Font

Quando il grafico vi propone un font qualsiasi, come carattere principale, chiedete l’Helvetica. Se il grafico sceglie l’Helvetica, chiedete di usare l’Arial. Se sceglie l’Arial, chiedete il Comic Sans. Se sceglie il Comic Sans, è già a metà strada verso la pazzia, quindi il vostro lavoro è già ben avviato.

4 – Sfruttiamo gli spazi

I grafici tendono a lasciare spazi bianchi, inutilizzati, ovunque. Margini enormi, ampi spazi tra le lettere e tra le parole …
Vi diranno che lo fanno per aumentare la leggibilità, e che così il tutto avrà un look professionale e pulito.
Non credete a queste bugie. La vera ragione per cui lo fanno è per rendere il documento più grande, con più pagine, in modo che vi costi di più al momento di stamparlo. Perchè lo fanno? Perchè vi odiano, è chiaro.
Assicuratevi quindi di richiedere espressamente di metteremargini minimi ed il testo molto piccolo. Suggerisco anche di chiedere l’uso di molti tipi di font diversi. Richiedete espressamente che si usino delle clipart a corredo del testo. Chiedete molte figure (se non sapete come inviargliele, riferitevi al punto #1). Cercheranno di protestare e difenderanno le loro scelte ma non preoccupatevi, alla fine il cliente ha sempre ragione e accontenteranno tutte le vostre richieste.

5 – Logo

Quando dovete inviare un logo al grafico, per un particolare progetto, assicuratevi di mandarne uno molto molto piccolo e possibilmente in GIF o in JPG (per come inviarlo fate riferimento ai punti #1 e #2).

Adesso potreste pensare che sia abbastanza ma se veramente volete minacciare la sua stabilità mentale, fate del vostro meglio per inviare il logo applicato sopra uno sfondo che lo renda difficile da ritagliare. Sfondi bianchi o neri sono da evitare, in quanto rapidi da eliminare in Photoshop.
Appena il grafico avrà finito di lavorare con quel logo in bitmap,ditegli che vi serve più grande.

Il tocco di classe, utilizzato dai campioni in questo sport, è quello di consegnare al grafico un oggetto con già stampato il vostro logo, non il file. E possibilmente un oggetto in cui il logo sia il più piccolo possibile e riprodotto su superfici curve (penne o tazze) oppure con una finitura che renda difficile la semplice scansione (fazzoletti di carta, biglietti da visita su carta goffrata, mousepad, o addirittura da un fax di scarsa qualità che vi sarete inviato appositamente).

Se avete bisogno di un logo creato appositamente per voi, buttate giù uno schizzo su un fazzoletto di carta. O, ancora meglio, fatelo fare al vostro nipote di 9 anni. Fare lo schizzo non deve prendervi più di 5 minuti: non dovete certo fare qualcosa di dettagliato o facile da capire perchè meno il grafico capisce cosa volete, più facilmente potrete chiedergli cambiamenti dopo che ci avrà lavorato su un bel po’.

Non accettate mai il primo logo. Non accettate mai nemmeno il nono logo, se è per questo. Fategli fare quante più modifiche potete: colori, font e clipart. Chiedetegli di inserire una foto nel logo. Bordi in rilevo. Sfumature. Comic Sans. e quando sarà alla decima proposta, ditegli che la vostra preferita è la seconda che vi ha mostrato. Lo so, è dura, ma ricordate che i grafici sono la causa principale del cancro al seno nelle donne di mezza età.

6 – Scelta delle parole

Quando gli descriverete ciò che volete in un progetto,assicuratevi di usare termini che non significhino niente. Termini tipo “rendilo più frizzante” o “potresti farlo più sbrilluccicoso?“. “Vorrei un design più figo” o “Preferirei della bella grafica, una grafica che, sai, quando la guardi dici: Wow! Questa si che è bella!.” sono altre opzioni.
Non sentitevi carogne, siete nel giusto. É un vostro preciso dovere, in quanto nelle notti di luna piena, i grafici, si trasmutano in lupi mannari.
Quando dovete scrivere i testi da inserire nella brochure, nel catalogo o nel sito, iniziate con brio, davanti a lui, e prendetevi tutto il tempo che volete. Starvi a guardare, con le mani in mano, mentre potrebbe intanto lavorare ad altri progetti, è un bel colpo basso. A metà del testo arenatevi, fingete di non sapere come proseguire e dopo vari tentativi, durante i quali doveteignorare assolutamente qualunque suggerimento, anche buono, possa darvi il grafico stesso, concludete con un “Dai, questi testi li puoi completare anche tu, poi magari, li modifichiamo“.

7 – Scelta delle immagini

Durante la fase di scelta delle immagini da usare nel design che il grafico vi sta preparando, siate quanto più generici possibile. Chiedete delle “belle foto, che attirino il cliente” oppure “delle illustrazioni a tema“.
Se il grafico vi propone di acquistare delle foto da siti professionali, oppure di assumere un fotografo professionista per eseguire degli scatti ad hoc, storcete il naso, sta cercando di spillarvi più soldi. Resistete e chiedete che si scarichi le foto da Internet. Anche vostro nipote sa che su internet si trovano tutte le foto che servono, senza dover pagare un euro.

Se verrà da voi con una cartella di immagini tra cui scegliere, fate in modo che il set di foto che sceglierete siano il più possibile diverse tra loro, come stile, come colori, come significato. Oppure, se il grafico è così stolto da sottoporvi una miriade di immagini tra cui scegliere, sceglietele il più possibile simili tra loro: stessa inquadratura, stessa angolazione, stesso soggetto.

Il tocco di classe dei campioni sta nello scegliere varie foto, ma di richiederne il ritocco per adattarli meglio al vostro gusto personale: “Bella questa foto di questa modella, ma la vorrei bionda anzichè mora“, oppure “Voglio la foto di questo tipo qui, proprio in questo modo, ma invece della cravatta a righe, al vorrei a pois“. Il colpo di grazia sta nell’aggiungere “… tanto è facile, lo fai col computer…“.

Dopo questo bagno di sangue, dopo aver scelto le immagini, con il grafico sudato e stremato davanti a voi, ma con un mezzo sorriso perchè vi ha strappato una decisione, chiedete pacificamente: “Ma se usassimo delle clipart?“.

8 – Colori

Il miglior modo per scegliere voi i colori (perchè assolutamente non dovete lasciar scegliere i colori ai grafici) è quelli di scrivere i nomi di vari colori su piccoli pezzi di carta, metterli in un cappello ed estrarli a sorte.
I grafici vi suggeriranno di mantenervi su 2 o 3 colori principali, ma no, sceglietene pure quanti ne volete, ed assicuratevi, invece, di fare l’estrazione dei colori dal cappello, di fronte al grafico. Mentre lo fate, cantate una canzoncina odiosa.

9 – Scadenze

Quando è il momento di approvare il progetto, prendete il vostro tempo. Non c’è fretta. Prendetevi due giorni. Prendetevene sei. Giusto il necessario perchè la scadenza del progetto si avvicini, e quando siete pronti e ormai mancano poche ore alla scadenza, passate al grafico tutte le correzioni e cambiamenti che il grafico ha il tempo di fare. Assicuratevi che debba lavorare anche di notte, pur di consegnare in tempo.
Dopotutto i grafici sono i veri responsabili degli attacchi dell’11 settembre.

Se riuscite, e solo i campioni riescono, fate loro notare che i testi che alla fine hanno scritto loro per voi (vedi punto #6) sono del tutto inadatti.

10 – Finitelo

Dopo che avrà subito la lista punto per punto, è umanamente possibile (anche se c’è chi discute sul fatto che siano umani oppure no) che la vostra vittima si senta un pelo insicura. Come realizzerà che non può riuscire a soddisfare i vostri bisogni, il grafico probabilmente abbandonerà ogni speranza di spuntarla su un qualunque argomento e farà semplicemente tutto quello che gli chiederete di fare, senza domande. Lo volete fucsia? Che fucsia sia. Sei tipi di font diversi? Sicuro!

A questo punto penserete di aver vinto, ma non perdete di vista l’obbiettivo di tutto questo: deve ritirarsi dal business.
Quindi, pronti per il colpo finale: Quando siete li a prendere la decisione finale sui colori, le forme, i font, ecc, ditegli che siete deluso dalla sua mancanza di iniziativa. Ditegli che, dopotutto, è lui il grafico e che è lui che doveva metterci la sua esperienza e talento, non certo voi. Che vi eravate aspettati maggiori consigli e proposte sul design, da parte sua.

Ditegli di averne abbastanza della sua mancanza di creatività e che quel poco di suo che ci ha messo, voi lo potete rifare con Publisher da soli, e che non intendete pagargli quel poco che ha fatto finora.

A questo punto è fatta. Dovreste avere il grafico tutto bello impacchettato nella sua bella camicia di forza!

Il workflow fotografico

Chi fotografa, sia che si tratti di un professionista, sia che si tratti di un amatore evoluto, ha bisogno di affidarsi ad un flusso  di lavoro – workflow – che funzioni e che ottimizzi i tempi e le azioni reiterate.
Non esiste il workflow perfetto, ma l’esperienza di questi ultimi anni, e le migliaia di foto scattate, scaricate e archiviate, me ne ha suggerito uno che funziona (almeno per me).

 

Scaricare le fotografie
Il passaggio può sembrare banale, ma è da qui che inizia il workflow.

Personalmente scatto in RAW e scarico le mie foto con Adobe Bridge – che mi dà immediatamente l’anteprima anche dei miei file RAW.
Utilizzo uno di quei piccoli lettori multicard da pochi euro – più veloci che non attaccare direttamente la macchina fotografica al computer e senza bisogno di usare la batteria della mia Nikon.
Inserisco la card nel lettore e lancio Bridge, che importa le foto.
Non rinomino i file al momento e uso il nome  che ho scelto al momento dello scatto.
Faccio in modo, cliccando su “Delete Original Files/Cancella file originali” di cancellare automaticamente le foto presenti sulla card una volta che vengono importate. Scelgo una cartella nella quale memorizzare le foto importate, in modo da averle tutte raggruppate in un posto solo.

Bridge1

 

Organizzare gli scatti
Sempre con Bridge, poi,  rinomino gli scatti con un suffisso che mi dica di che lavoro si tratta, ma mantengo la numerazione progressiva che gli dà la macchina in fase di scatto.

Ad es.il file _CUC2958.nef la rinomino in AI1314_2958.nef utilizzando una sostituzione di stringa all’interno del nome del file originale.

Bridge Rename

 

Analizzare e cancellare
Analizzo gli scatti e individuo quelli che non mi soddisfano (sfocati, bruciati, mossi…) e li cancello. Non ci penso due volte, le cose che per certo non mi serviranno le butto! Questo mi aiuta a risparmiare molto spazio, considerato che la mia macchina butta fuori 40 MB di file RAW per scatto.

 

Applicare il copyright e altre informazioni
Attraverso la funzione “Create a Metadata Template/Crea un template metadati” dal menù Tools/Strumenti di Bridge applico le informazioni alle mie foto – una volta creato un template, è molto semplice applicarlo a tutte le foto.
Ad esempio io aggiungo sempre il copyright, il nome dell’autore, la mail e il sito.

 

Backup e archiviazione
Una volta rinomionate le immagini e aggiunte le informazioni, copio la cartella su un dispositivo esterno di backup.
E’ possibile anche usare apllicazioni di backup automatico che, secondo le nostre necessità, copiano su dischi esterni i contenuti delle cartelle che gli segnaliamo e gli elementi che hanno subito una qualche modifica, all’interno di quelle cartelle, dall’ultimo backup.

 

 

Concludendo: potrebbe sembrare la scoperta dell’acqua calda, ma seguendo questi semplici passi, riusciamo ad industrializzare i nostri flussi di lavoro e ottimizzare i tempi e le risorse.

 

 

 

Il “model release” serve davvero?

foto (1)

Senza dubbio uno dei miti della fotografia professionale: il MODEL RELEASE, che in italiano viene spesso chiamato “liberatoria” o “modulo per i diritti di immagine”…
Ogni volta che si tocca l’argomento, la sensazione è simile a camminare su un campo minato.
La legislatura in materia è quanto mai vaga, sia in Italia, sia all’estero – anche se spesso case edititrici, enti museali e organizzatori di mostre chiedono ‘sto maledetto  modulo come condizione sine qua non ad essere pubblicati o esposti.

Ho cercato un po’ di materiale in giro per la rete e, ad essere sincero non ho trovato molto, o meglio, come spesso accade sul web, ho trovato tutto e il contrario di tutto.

La curiosità è scaturita dalla volontà di partecipare ad un importante concorso di fotografia di ritratto a Londra con una foto che ho scattato ad un’anziana signora quest’estate in India.
Trovo la foto piuttosto interessante, ma, naturalmente, NON HO nessuno straccio di liberatoria da parte della signora, che, con un semplice e pacato gesto della mano ha acconsentito a farsi ritrarre.

Ho cercato in rete alcune risposte e questo è quello ho trovato….

Nonostante la leggenda – più o meno metropolitana – che racconta che per ogni persona ritratta dobbiamo conservare una liberatoria, la realtà dei fatti è piuttosto diversa: DOBBIAMO SEMPLICEMENTE PREOCCUPARCI DI NON INVADERE LA PRIVACY DI CHI RITRAIAMO.
Generalmente, in un luogo pubblico, non ci si può aspettare di avere privacy e questo mette a tacere più o meno qualsiasi illazione del caso.

In realtà, quello di cui dobbiamo preoccuparci è più qualcosa legato al diritto di publicazione, diritto che violiamo nel momento in cui, utilizziamo per un nostro beneficio specifico la fotografia di una persona, senza essersi accordati per farlo.
Questo è quello che si chiama UTILIZZO COMMERCIALE dell’immagine  – contrapposto all’utilizzo editoriale.
L’utilzzo di una fotografia viene generalmente considerato editoriale quando la foto è notiziabile, cioè degna di essere considerata notizia.

E qui, in tutto il mondo, si apre una diatriba confusa e dai confini vaghi.

Un reportage o una foto che documenti un evento pubblico, generalmente, sono considerate editoriali, per cui non è neccessario preoccuparsi di nessun model realease.

UTILIZZO COMMERCIALE DI UN’IMMAGINE
Definiamo utilizzo commerciale quando una fotografia di una persona è impiegata a scopi pubblicitari, sponsorizzazioni/testimonial o scopi di mercato – questo però non si riferisce al fatto che la foto possa comparire all’interno di una pubblicazione che viene venduta (e qui ci le acque si mescolano…)

QUALE LEGGE IN TAL PROPOSITO.

La legge  alla quale dobbiamo riferirci è la 22/4/1941 e in particolare gli articoli 96, 97 e 98 – che riporto nella loro totalità

Art. 96
Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell’articolo seguente. Dopo la morte della persona ritrattata si applicano le disposizioni del 2/a, 3/a e 4/a comma dell’art. 93.

Art. 97
Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o colturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata.

Art. 98
Salvo patto contrario, il ritratto fotografico eseguito su commissione può dalla persona fotografata o dai suoi successori o dai suoi successori o aventi causa essere pubblicato, riprodotto o fatto riprodurre senza il consenso del fotografo, salvo pagamento a favore di quest’ultimo, da parte di chi utilizza commercialmente la riproduzione, di un equo corrispettivo.
Il nome del fotografo, allorché figuri sulla fotografia originaria, deve essere indicato.

Questo dovrebbe toglierci ogni dubbio… in realtà non è così.

Nel mio caso, che poi è il caso di molti, e cioè la partecipazione ad una mostra, non c’è scopo commerciale e la persona che ho ritratto ha palesemente acconsentito – non si tratta di uno scatto rubato. E quindi? come ci si regola… con certezza non so, per cui , chiunque possa dare il suo contributo in merito a questo argomento confuso… lo faccia, per favore…

20120626-112108 Anche perché, mi piacerebbe chiedere a Steve McCurry  se possiede la liberatoria per questa foto, per altro pubblicata in almeno tre volumi campioni di incassi e in mostra itinerante da almeno cinque anni…

 

 

Il comune senso del… buon gusto

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AIUTOOOOOOOOO!!!!!!

Non ci volevo credere… non ci potevo credere…

Capisco la legge cari a noi pubblicitari, l’importante è che se ne parli, ma sono ancora dell’avviso che esista una sottile linea che ci protegge dal cattivo gusto.

Sono cresciuto ad una certa scuola pubblicitaria, dove humour, spregiudicatezza e ironia erano il pane quotidiano per fare breccia nelle menti dei potenziali fruitori, ma ho sempre cercato di non valicare quella sottile linea rossa, oltre la quale È cattivo gusto.

Per molti, anche egregi pubblicitari dal blasone importante, vale l’antico adagio tira più un pelo di…, vabbè avete capito (…), ma qui, amici, credo che qui qualcuno abbia, diciamo, perso il controllo.

Passo l’analogia salame/pene, passi la forzatura maniacale… Ma come si può concepire una campagna così becera?! E non è pruderie la mia…